Possiamo sempre far qualcosa - Gli studenti dell'ITI "Giancarlo Vallauri" di Reggio Calabria incontrano Giuseppe Ayala

Possiamo sempre far qualcosa - Gli studenti dell'ITI "Giancarlo Vallauri" di Reggio Calabria incontrano Giuseppe Ayala

L'incontro con Giuseppe Ayala inizia con un sospiro: è quello che fa l'ex magistrato ed ex senatore guardando con i ragazzi il filmato che mostra le immagini di Capaci, e poi un Falcone sorridente che spiega come si combatte la paura, e infine un Paolo Borsellino provato che risponde di dover continuare a fare il suo dovere, anche se non ha più a fianco "non un collega, ma il più vecchio dei miei amici".
Giuseppe Ayala è stato tra i testimoni privilegiati di una stagione di delitti efferati: il suo tandem con Falcone alla procura di Palermo - Falcone giudice istruttore, Ayala pubblico ministero - gli ha lasciato molti aneddoti da raccontare ai ragazzi curiosi.
"L'idea geniale di Falcone fu quella di usare gli strumenti del codice in modo più efficace. I delitti di mafia erano indubbiamente legati da un filo rosso, c'era un'associazione criminale dietro. Trovare il filo rosso diventava prioritario per sconfiggere un fenomeno criminale che, mai nella storia di una nazione, durava da così tanti anni, almeno dall'unità d'Italia. Infatti, più che criminalità organizzata, la mafia è una vera e propria struttura di potere".
Ayala ha parlato quindi del maxiprocesso del 1986, dando numeri da capogiro: 475 mafiosi condannati, un fascicolo di un milione di pagine più altre 660.000 che si sono aggiunte nel dibattimento.
Sostiene inoltre le gravi responsabilità di pezzi dello Stato che, a fronte di un così grande successo giudiziario, disciolsero comunque, con alcune scelte, il pool antimafia.
Il giudice Ayala si è poi soffermato sulle figure di Falcone e Borsellino, definendoli "non supereroi, ma uomini ricchi di umanità, la cui eredità più grande è l'esempio, i valori, la fede nello Stato. Due grandi persone perbene, che avevano capacità di lavoro e intelligenza, pur nella diversità caratteriale."
Dallo spunto dato dalle domande dei ragazzi, Ayala è passato a parlare dei pezzi deviati dello Stato, ed ha parlato della mafia come di una componente organica del sistema di potere italiano, ragione per cui è così difficile venirne fuori.
Con una metafora calcistica, Ayala ha quindi spiegato perché lo Stato è riuscito nell'impresa di sconfiggere il terrorismo, ma non in quella di sconfiggere la mafia: "La partita Stato-terrorismo è stata giocata secondo le regole e quando si gioca correttamente lo Stato vince. Quella con la mafia, invece, è una partita truccata, perché alcuni giocatori dell'una e dell'altra parte indossano le maglie sbagliate".
La riflessione si è poi allargata ai fenomeni di illegalità e corruzione: Ayala ha sostenuto che il valore fondante di una nazione è la legalità, che è però il primo problema da affrontare in Italia. In un Paese come il nostro in cui la criminalità organizzata di qualunque genere fattura 130 miliardi di euro l'anno, l'urgenza è quella di ristabilire le regole e di far passare il messaggio che non conta la furbizia, ma l'intelligenza.
"L'italiano è affetto dalla sindrome del furbo, basti vedere quanto è diffuso il fenomeno dell'evasione fiscale. E solo da noi l'espressione 'figlio di..." ha un'accezione quasi benevola. La democrazia è fantastica, ma un po' scomoda: da sudditi siamo diventati cittadini e abbiamo acquisito i diritti, che però significano anche doveri. L'italiano, purtroppo, sul pretendere diritti è fortissimo, ma quando si parla di doveri si crea molti problemi. Se invece fossimo intelligenti, capiremmo che il mondo non finisce con noi: seguendo le regole ci assicuriamo una vita tranquilla, ma la assicuriamo anche ai nostri figli. Alcide De Gasperi sosteneva che il politico pensa alle prossime elezioni, lo statista invece alle prossime generazioni".
Ayala ha concluso affermando che il mestiere del giovane è molto difficile oggi. Ci vuole coraggio, lo stesso di cui parlava Falcone nella sua intervista.