Possiamo sempre far qualcosa - Gli studenti dell'ITCT "Carlo Piaggia" di Viareggio (Lu) incontrano il sen. Luigi Li Gotti

Possiamo sempre far qualcosa - Gli studenti dell'ITCT "Carlo Piaggia" di Viareggio (Lu) incontrano il sen. Luigi Li Gotti

Mercoledì 7 marzo, un gruppo di studenti dell'Istituto Tecnico Commerciale e per il Turismo Carlo Piaggia di Viareggio (Lu) ha inaugurato il ciclo di incontri, ospitati dalla Libreria del Senato, nell'ambito dell'iniziativa "Possiamo sempre far qualcosa", in ricordo delle stragi mafiose del 1992 in cui furono uccisi Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, insieme con le loro scorte. 
All'incontro ha partecipato, in qualità di testimone di quegli anni e di componente della Commissione Giustizia e della Commissione Antimafia, il senatore Luigi Li Gotti, del gruppo parlamentare Italia dei Valori. 
Dopo sei minuti di filmato, realizzato per raccontare ai giovani che nel 1992 non erano ancora nati i fatti terribili di quei mesi e i volti e le voci dei due magistrati, ha preso la parola il senatore Li Gotti, che ha prima di tutto contestualizzato i due attentati nella storia dell'Italia di quegli anni. 
Il senatore Li Gotti, parlando a bassa voce in un silenzio irreale, si è definito un testimone diretto, che conosceva personalmente Giovanni Falcone e Paolo Borsellino in quanto difensore di Tommaso Buscetta ed era stato poi il difensore di Giovanni Brusca, esecutore materiale dell'attentato di Capaci. Un punto di vista privilegiato, quindi, che con i ragazzi ha scavato nella storia per ricostruire, quanto più possibile, motivazioni e fatti. 
Per Luigi Li Gotti, Giovanni Falcone era diventato il nemico numero uno di Cosa Nostra, perché era riuscito a creare un rapporto particolarmente professionale con Buscetta, quando venne arrestato negli Stati Uniti e aveva iniziato a collaborare, nel 1984. Falcone aveva capito che l'organizzazione poteva essere contrastata soltanto se si cominciavano ad avere conoscenze da dentro, perché era molto compatta e strutturata, e solo leggendola dall'interno poteva avvenire uno scardinamento. Li Gotti ha ricordato la grande professionalità del giudice, i suoi interrogatori competenti, in cui controllava e verificava anche le virgole. Ha ricordato inoltre la sua angoscia quando nel 1989 iniziò a collaborare Marino Mannoia: non era trapelato mai nulla all'esterno, gli interrogatori si svolgevano nel più stretto riserbo, eppure Cosa Nostra lo venne a sapere e ci fu la strage di Bagheria. Per lui fu un momento forte di sbandamento, lì capì che Cosa Nostra riusciva a penetrare nelle istituzioni e a sapere quello che gli altri non sapevano. Li Gotti ha sottolineato che anche nel 1992 successe la stessa cosa, quando qualcuno segnalò da Roma la partenza di Falcone per Palermo, e l'organizzazione era già pronta da settimane a farlo saltare in aria. 
Il senatore è stato uno degli ultimi a vedere vivo Paolo Borsellino, che incontrò due giorni prima dell'attentato di via D'Amelio: ricorda la tristezza negli occhi del giudice, racconta che aveva uno sguardo diverso perché sapeva che era arrivato il tritolo anche per lui, che stavano per compiersi i giorni del suo attentato, e nonostante questo continuava a lavorare riprendendo ciò che aveva lasciato indietro Falcone. Parlando di quei giorni, Li Gotti ha spiegato che non è ancora riuscito a capire perché Cosa Nostra avesse deciso di imprimere una così forte accelerata alla sfida contro gli uomini dello Stato, iniziata quell'anno con l'uccisione dell'europarlamentare Salvo Lima. Con Falcone e Borsellino, la mafia cercava il gesto eclatante: non doveva solo eliminare fisicamente due nemici, doveva dare un esempio che avrebbe scosso profondamente non solo la Sicilia ma tutti i palazzi del potere. 
Li Gotti ha parlato di due uomini che per capacità e coraggio non hanno avuto eguali: Falcone aveva capito i codici di Cosa Nostra, Borsellino si era inserito negli scambi illegali tra mafia, appalti e Stato, quello Stato che non è riuscito a proteggerli. 
Li Gotti ha raccontato infine ai ragazzi i misteri di quei giorni, le incongruenze, i perché mai risolti di omicidi e comportamenti inspiegabili a seguito degli arresti eccellenti, oltre a sottolineare come oggi il fenomeno mafioso si sia inabissato, senza più azioni clamorose, ma lavora comunque nel sottobosco e risale lo Stivale, non restando più nei confini siciliani. La mafia, come aveva intuito Falcone, va seguita seguendo il flusso del denaro: laddove ci sono possibilità di guadagni, lì sicuramente c'è un'infiltrazione, a cominciare dal gioco d'azzardo, legale e illegale. 
Un incontro pieno di emozione, la stessa con cui Li Gotti ha concluso il suo intervento dicendo: "Questi uomini meritano di avere delle risposte. Sono stati degli eroi. Come si ferma la macchina della mafia? Loro avevano capito, li hanno fermati. Se la politica non trova il coraggio di dire una parola, ma seria e convinta e radicale di contrasto e di denuncia e di isolamento, noi non ne usciremo. Voi forse potete risolvere il problema, le nuove generazioni se prendono coscienza possono riscattarsi e riscattarci, anche per quella gente che ci ha creduto, fino in fondo". 
I ragazzi hanno sottolineato questa emozione con un applauso, a cui hanno fatto seguire domande sull'uso dei beni confiscati alla mafia e sull'esistenza ancora oggi di rapporti tra la mafia e la politica.