La Cittadinanza

  • Pubblicato il 25/04/2019
  • da A. T. - Gallico (RC)

Accogliere è il primo passo a cui deve seguire un processo di integrazione che passa, ovviamente, attraverso la stabilizzazione sul territorio, la possibilità di lavorare, la fruibilità di servizi. Nel momento in cui l’assimilazione nel Paese accogliente è una realtà concreta, l’immigrato rimane per sempre uno straniero? E i figli saranno anch’essi, nonostante siano nati e cresciuti nel suddetto Paese, degli stranieri? Perché non possono rappresentare per es. il Paese in cui si sono formati in competizioni sportivi internazionali? L’incontro con la dottoressa Angela Ammendola, facendo riferimento all’articolo 13 della Dichiarazione dei Diritti Umani e all’articolo 16 della Costituzione Italiana, chiarisce innanzitutto agli allievi come nella prima, la libertà di movimento è riferita all’individuo e nella seconda, invece, è concessa al cittadino. La conversazione affronta anche il problema della cittadinanza. In linea generale si è cittadini di un determinato paese per diritto di sangue, perché si è figli cioè, di almeno un genitore di quel determinato paese (ius sanguinis); viceversa esiste il diritto di suolo (ius soli), in riferimento al quale, come succede negli Stati Uniti, la cittadinanza è attribuita in base al luogo di nascita. Oggi si preferisce parlare anche di diritto di cultura (ius culturae). L’idea è che l’istruzione e la cultura creino legami molto più forti fra una persona e un territorio che non la cittadinanza dei genitori o il luogo di nascita.

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